Teresa Patania: chiedeva di salvare i bambini mentre l’ex marito la uccideva

Delitto via Barrili
“Ora vivremo
solo per
vendicare Teresa”
I fratelli della donna uccisa: “Faceva il tiro a segno su di lei. Noi non perdoniamo”. Ma è tutto il quartiere che si ribella, cerca un modo per rimettere a posto le cose

“Aiuto salvate i bambini”: uccisa davanti ai figli

Milano, 4 settembre 2010 – «Io sto in vita solo per vendicare mia sorella. Tutti quanti li prendo questi, che credono? Adesso è un casino». Urla e piange, agita le mani, cammina avanti e indietro, smarrito, forse non sa nemmeno quello che dice. È la rabbia che lo fa parlare. Si dispera Sebastiano, il fratello di Teresa Patania, 30 anni, uccisa con tre colpi di pistola dall’ex marito, Giuseppe Distefano. Alza gli occhi, indica la finestra dove abitava lui, «quello che ha tolto la madre a tre figli piccoli» e ha sparato con una calibro 22 nel cortile del condominio. La sua ex moglie era giù, a terra, morta, in un lago di sangue.

«E lui infieriva, faceva il tiro a segno, quando mi ha visto qui con mia sorella voleva uccidere anche me, ha puntato la pistola, ma io sono corso su, lo volevo ammazzare. Giusto la polizia è arrivata in quel momento e mi ha fermato. Ma non mi faccia parlare, io non voglio dire più niente, voglio stare con mia sorella». È tutta lì, nel cortile di via Barrili 9, la gente del quartiere: guarda in silenzio, si raccoglie attorno a quell’uomo che si dispera, che si china sui fiori e grida: «Teresa dove sei, che ti hanno fatto? Rispondimi, ti prego». Non si dà pace, Sebastiano Patania. Intorno il silenzio, e fuori un’auto della polizia presidia, fiutando l’aria. Il fratello della vittima torna per un attimo in sè: «Ora c’è solo spazio per il dolore — dice con lo sguardo rivolto a papà Salvatore —. L’unica cosa che mi interessa è che non si dica che mia sorella aveva un altro uomo». Arriva anche Massimo, l’altro fratello di Teresa.

«Questo quartiere non perdona, Giuseppe lo deve sapere — dice Mario, 25 anni, — io ho due figli piccoli che ieri stavano giocando accanto ai suoi, poteva essere una strage poteva uccidere anche un altro bambino del palazzo, allora non sarebbe uscito vivo di qua. Quello ce lo dovevano lasciare a noi. La polizia doveva fare finta che gli fosse scappato dalle mani, bastavano dieci di noi per regolare i conti». È questo il clima ora, a ventiquattr’ore da una tragedia terribile e assurda, il quartiere si ribella, cerca un modo per rimettere a posto le cose. Al quarto piano di questo caseggiato popolare in parte rimesso a nuovo, Massimo svuota l’appartamento che la sorella occupava abusivamente con i suoi tre figli. Lui e altri due del quartiere portano via i materassi dei lettini dei bimbi. «Non vi avvicinate – dice Massimo – non provateci nemmeno, tanto non dirò nulla. Il ricordo bello di mia sorella me lo voglio tenere nel cuore. Le parole non contano più, contano i fatti».

Che si tratti di una faccenda complicata, impastata di vecchie ruggini, si capisce chiaramente. Gelosia, rancori per l’affidamento dei figli e per i soldi che non c’erano e forse c’è molto altro. Teresa, 30 anni, aveva lasciato Giuseppe otto mesi fa. Lei non ce la faceva più, dicono le amiche. Forse lui, a modo suo, la amava ancora e non accettava che le cose fossero cambiate, che quello che una volta era stato un sentimento forte si fosse trasformato in insofferenza. Poi, la sua nuova relazione, confidata a mezza bocca da alcune mamme del quartiere, che poi si affrettano a precisare. «Ma no, no erano solo amici, non aveva nessuno, Teresa era una mamma straordinaria, sempre attaccata ai suoi tre cuccioli, come li chiamava lei». Nei prossimi giorni Giuseppe e Teresa avrebbero dovuto incontrarsi con l’avvocato per discutere i dettagli dell’affidamento dei figli, lei stava per trasferirsi a Cantù, con il fratello e il padre.

«Non riesco a togliermi dagli occhi l’immagine di lei, colpita al torace dai proiettili, che resta in piedi con lo sguardo vuoto – racconta l’amica Liana -. L’ho chiamata, Terry, Terry, ma lei diceva: porta via i bambini, allora lui si è avvicinato l’ha tenuta per un braccio, le ha puntato la pistola alla tempia e ha sparato ancora, sembrava un’esecuzione. A quel punto, un rivolo di sangue le è uscito dalla bocca e poi dal naso. Non ho più capito niente, sentivo solo i suoi bambini che chiamavano mamma. Ho avuto paura e sono fuggita».

http://www.ilgiorno.it/milano/cronaca/2010/09/04/379597-delitto_barrili.shtml

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