Belluno. Uccisa sulle Pale di San Martino:
riaperto dopo 20 anni il delitto De Cia
La Procura di Trento torna a indagare sul mistero di 20 anni fa
La vittima di Sovramonte viveva a Cornuda. Inutile un identikit
BELLUNO (11 settembre) – L’assassino di Maria Luisa De Cia, uccisa all’ombra delle Pale di San Martino, è libero da 20 anni, sicuro di averla fatta franca. Due decenni dopo la procura di Trento ha deciso di riaprire il caso per cercare di dare un’identità all’uomo che il 16 agosto del 1990 brutalizzò la ragazza, allora 28enne di Sovramonte (Belluno), ma residente per lavoro a Cornuda, nel Trevigiano.
Il procuratore capo Stefano Dragone ha infatti incaricato la Squadra mobile di Trento di riprendere in mano gli atti, studiare i reperti, verificare se ci possano essere piste ancora da battere. Le tecniche di indagine in questi anni si sono molto affinate come dimostra il delitto di via Poma a Roma, un’inchiesta riaperta molti anni dopo grazie a nuove analisi del dna che hanno messo nei guai l’ex fidanzato.
La riapertura del procedimento De Cia non è dovuta alla scoperta di nuovi indizi. Ma un omicidio come quello, formalmente archiviato dal Tribunale di Trento il 9 marzo del 1993, in realtà non può mai essere considerato davvero chiuso. Il compito degli investigatori, però, appare molto difficile e le possibilità di successo sono oggettivamente scarse anche perché all’epoca i carabinieri – coordinati da un giovane pm, Giovanni Kessler, non lasciarono nulla di intentato.
Il cadavere di Maria Luisa De Cia venne trovata a pochi metri dal sentiero 713 che porta a malga Civertaghe e al rifugio Velo della Madonna, un itinerario molto battuto in quelle giornate di metà agosto. Il corpo era dietro uno spuntone di roccia. Aveva la mani legate e la bocca tappata con alcuni giri di nastro adesivo. Era nuda dal ventre in giù. L’assassino prima di fuggire si era preso il tempo di raccogliere i suoi oggetti e di divaricare le gambe della poveretta sistemando il suo zaino sul pube. L’assassino voleva lasciare un messaggio: forse con quella macabra messa in scena voleva dire che se Maria Luisa non poteva essere sua, allora non sarebbe stata di nessun altro. Un ulteriore mistero era relativo all’arma utilizzata per il delitto. La donna venne uccisa con un colpo di arma da fuoco in testa. La perizia balistica stabilì che la pallottola era di fattura artigianale, partita forse da una scacciacani modificata. Insomma, l’assassino conosceva bene le armi e per questo venne battuta, senza successo, anche la pista dei cacciatori di frodo. Il cadavere venne trovato almeno 24 ore dopo il delitto, dopo che la pioggia aveva cancellato tutte le tracce di presenze umane sul luogo del delitto. Le indagini, condotte dai carabinieri guidati dal capitano Ivo Rossi, per giorni interi passarono al setaccio l’intera vallata.
La vita di Maria Luisa De Cia, peraltro molto normale, fu scandagliata a fondo. L’ipotesi da cui partirono gli inquirenti era che la vittima conoscesse il suo carnefice. Per uno sconosciuto sarebbe stato infatti molto difficile trascinare la giovane in quella radura distante dal sentiero. Era dunque una persona di cui lei si fidava, ma che aveva un motivo per uccidere. Forse era pazzo di gelosia perché lei aveva un altro e si voleva sposare o forse – si ipotizzò, per analogie con alcuni delitti accaduti in Veneto tra il 1990 e il 1991 – era un serial killer.
Si arrivò anche ad un identikit del presunto assassino. L’immagine venne diffusa circa un anno dopo l’omicidio, ma senza successo. Era il disegno di un uomo, dal viso allungato con un gran ciuffo di capelli, notato alla guida di un’auto di grossa cilindrata. Pare che la mattina di quel 16 agosto una Panda rossa, come quella della vittima, si fermò vicino a un distributore e la conducente si avvicinò all’altro veicolo. Le due auto poi ripartirono insieme. Fu la testimonianza, frammentaria, di quel brevissimo incontro il punto in cui le indagini arrivarono più vicine all’assassino. Vicine, ma non abbastanza per individuarlo. Di quell’uomo misterioso non si trovarono altre tracce concrete. Vent’anni dopo la procura di Trento riapre la caccia.
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