La vita senza luce di Enzina
uccisa dal marito-padrone
Massacro di una donna cieca, povera e debole Era la quattordicesima di quindici figli, il padre vendeva castagne per strada. Nessuna cura per la sua vista . Aveva messo al mondo quattro bambine, tolte alla coppia per le violenze paterne. Lei era rimasta nell’inferno
In tre sono seduti a tavola. Mangiano gnocchi al sugo. Nella stanza accanto c’è il corpo, o quello che ne resta, di Enzina Cappuccio, 34 anni, semicieca dalla nascita, quattordicesima di quindici figli di una famiglia poverissima, l’aspetto fisico di una reclusa in un campo di concentramento, madre di quattro bambine avute dall’uomo che ora sta mangiando gli gnocchi e che l’ha appena ammazzata a pugni, calci, morsi perché, dice, “Enzina era tosta-tosta”.
Questa è una storia terribile, accaduta adesso e qui, nel 2012, a pochi passi da Napoli, la capitale del sentimento. I tre sono Salvatore Giuliano, 34 anni, il marito, parcheggiatore abusivo, Domenico Manco, 38, parcheggiatore abusivo subordinato a Giuliano, e sua moglie Anna Luisa Cappuccio, 30, nipote di Enzina. Finito di mangiare, escono di casa portando via il cadavere avvolto in un tappeto. Sono passate da poco le 19 di domenica 15 gennaio. Nell’anonimo condominio di via San Tommaso nella parte alta di “Città Giardino” a Marano, il destino dei tre si incrocia con quello di una vicina, che sta rientrando a casa e vede spuntare i piedi e un volto tumefatto dall’improvvisato fagotto arrotolato. Anna Luisa abbozza un sorriso, mentre con una mano accenna una carezza sui capelli del volto sfigurato che il tappeto non riesce a celare.
Il corpo è rigido e i tre faticano a sistemarlo nella parte anteriore dell’auto, di fianco al guidatore. In quella casa le quattro figlie non ci sono più. Il marito-padre, tornando ubriaco, non picchiava solo la moglie, ma aveva allungato le mani anche su almeno tre delle quattro bambine, tutte sottratte alla coppia dai servizi sociali su disposizione del Tribunale. E per questo aveva conosciuto il carcere. Le bambine erano spesso lasciate senza cibo e vestiti. Poi sono state tirati fuori da quell’inferno in cui, invece, non è mai uscita Enzina. Era nata poverissima, il padre vendeva le castagne per strada a Marano. Fin da piccola aveva avuto problemi alla vista e nessuna cura adeguata. Con il passare degli anni era diventata quasi completamente cieca. Nell’abitazione della “famiglia” Giuliano rimasta senza figli, erano entrati altri inquilini, Domenico Manco e Anna Luisa, la nipote di Enzina.
La sera del 15 gennaio, l’auto con il corpo di Enzina si dirige al pronto soccorso del Cardarelli dove Giuliano racconta una storia che non sta in piedi, un’aggressione subita da parte di sconosciuti. Ladri che si sarebbero introdotti in una casa dove manca tutto tranne la disperazione. A quell’ora, tra l’altro, allertati dalla vicina, i carabinieri di Marano e della compagnia di Giugliano, coordinati dal capitano Francesco Piroddi, sono già nell’appartamento di via San Tommaso dove trovano Anna Luisa Cappuccio seduta su una sedia in cucina. E trovano molte macchie di sangue in camera da letto. La storia dell’aggressione esterna dura poco. Il tempo per Salvatore Giuliano di confessare la sua versione, che appare persino più assurda di quella sul raid esterno.
Ecco per sommi capi quanto dice Giuliano: sono le tre di notte del 14 gennaio quando tra Salvatore e Enzina scoppia una feroce lite.
Ma per feroce, si può intendere solo la ferocia dell’uomo, perché la donna non è assolutamente in grado di fare nulla. I medici che vedono quel corpo consumato restano agghiacciati. Così come chi deve guardare le foto scattate durante l’autopsia. Enzina è un insieme di ossa e pelle così malridotto che anche da viva difficilmente sarebbe stata in grado di restare in piedi. “Sembrava uno dei prigionieri fotografati nei campi di sterminio nazisti”, commenta chi ha visto le foto e non riesce a cancellarle dalla mente. Una donna cieca, che non si nutriva regolarmente e che da mesi non usciva all’aperto. Un omicidio senza motivo. Non si capisce perché l’uomo si sia scatenato con tanta rabbia fino a ucciderla. Lui dice solo che era ubriaco. Secondo una versione fornita da Anna Luisa, la donna aveva protestato perché il marito guardava le foto di altre donne sul telefonino, ma non ci sono riscontri e sicuramente questo non basterebbe a spiegare la ferocia.
Giuliano ai carabinieri aggiunge di non aver capito di aver ucciso la moglie, tanto di essersi messo a dormire tranquillamente al suo fianco nel letto. La mattina l’uomo esce da casa come al solito e torna soltanto la sera proprio perché, dice lui, “preoccupato per la moglie”. Nel bilocale di via San Tommaso ci sono anche Manco e la coniuge che sicuramente aiutano Giuliano a sollevare Enzina dal letto, chiuderla nel tappeto e portarla in ospedale, dove arriva anche un’altra parente del parcheggiatore.
Anche Domenico e Anna Luisa raccontano altre storie. Prima tentano di addossare responsabilità su un uomo risultato del tutto estraneo a quanto accaduto, poi la donna afferma di essere rimasta chiusa nel bagno e di essersi accorta della morte della zia, “a cui voleva bene”, soltanto pulendo le macchie di sangue dal pavimento della camera da letto. Anche Manco racconta di essere stato chiuso nel bagno con la moglie e solo in un secondo momento di essere stato costretto a reggere i piedi della donna, “ma solo leggermente”, su ordine di Giuliano, che così poteva strangolarla meglio. Avrebbe ubbidito perché aveva paura dell’amico, ma, a suo dire, Enzina era già morta. La verità di Anna Luisa è fatta di mezze parole, ricostruzioni fantasiose e atteggiamenti infantili.
I referti raccolti dagli investigatori coordinati dal pm Stella Castaldo, che ha chiesto l’arresto dei tre, richiesta accolta dal gip Tullio Morello, raccontano un’altra realtà che rende inverosimile la ricostruzione del principale sospettato. Su Enzina c’è stato un accanimento mostruoso e non un semplice litigio. Le sono stati staccati a morsi i lembi delle orecchie. Le hanno morso la schiena in più punti. Spento cicche di sigarette sulla pelle e bruciato parte del volto. È stata colpita ripetutamente con calci e pugni su tutto il corpo. Non si sa quante ore è durata la notte di sevizie di ogni natura. Già, perché Enzina era “tosta-tosta”. E, infatti, per ucciderla le hanno sbattuto la testa con violenza contro la ringhiera del letto e sul pavimento. Ma non è bastato. E così le hanno messo anche una pezza in bocca mentre la strangolavano.
Giuliano è stato arrestato per omicidio, mentre gli altri due sono finiti in cella per concorso in omicidio e calunnia, ma la verità giudiziaria su tutta la vicenda è ancora da scrivere. Soprattutto è da capire il ruolo avuto dalla coppia di inquilini: la donna dal carattere immaturo, l’uomo sottomesso all’amico-padrone, che lo scherniva in pubblico. Per loro l’avvocato Carlo Carandente Giarrusso ha presentato ricorso al Riesame per chiederne la scarcerazione.
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