Sudafrica, stupri “correttivi”
Così si “redimono” le lesbiche
In dieci anni almeno trenta le ragazze gay ammazzate durante vere e proprie spedizioni punitive. L’omertà e spesso la connivenza delle forze dell’ordine. E la paura di denunciare delle aggredite. I programmi di aiuto di ActionAid e altre organizzazioni in difesa dei diritti degli omosessuali
di EMANUELA STELLA
Sudafrica, stupri “correttivi” Così si “redimono” le lesbiche
LONDRA – “Questo testo non l’ho scritto per le lesbiche, ma per tutti: tutti devono sapere”. Pam Ngwabeni, ventiduenne attrice nera sudafricana, sta girando in questi giorni la Gran Bretagna col suo spettacolo “Ncamisa!”, che denuncia la piaga degli stupri “correttivi” ai danni di lesbiche, brutalizzate perché imparino a essere “normali”. Uno sconvolgente rapporto di ActionAid 1 lanciava l’allarme, qualche mese fa, sul crescente numero di stupri omofobici, in un paese nel quale ogni anno, soprattutto nelle township di Città del Capo e Johannesburg, vengono perpetrate 500mila violenze carnali che, nove volte su dieci, restano impunite. In una società maschilista, le lesbiche sono considerate donne disobbedienti e ribelli che vanno castigate.
Vere spedizioni punitive. ActionAid, che in Sudafrica collabora con People Opposed to Women Abuse 2, Treatment Action Campaign (TAC) e Lesbian and Gay Equality Project (LGEP), ritiene che nella sola Città del Capo si verifichino almeno dieci stupri “correttivi” a settimana; negli ultimi dieci anni più di trenta lesbiche sono state ammazzate per dar loro una “lezione”, mentre si registra solo una condanna tra i loro assassini. Il Sudafrica ha una delle Costituzioni (redatta dopo la fine dell’apartheid) più progressiste del mondo, che dichiara fuorilegge la discriminazione su base sessuale, ed è stato il primo paese africano a consentire i matrimoni fra persone dello stesso sesso. Ma la polizia è riluttante a indagare sulle spedizioni punitive contro le lesbiche, e i tribunali rifiutano di riconoscere l’esistenza di una persecuzione che prende di mira specificamente le donne gay.
Stupratori evasi, complice un agente. Un mese fa quattro uomini sono fuggiti dal tribunale distrettuale di Khayelitsha, una township di Città del Capo. Assieme ad altri cinque imputati, erano accusati di aver ucciso nel 2006 Zoliswa Nkonyana, una 19enne lesbica accoltellata e massacrata con una mazza da golf. Un sergente di polizia in servizio alla prigione è stato arrestato per aver organizzato la loro evasione. I quattro sono stati riacciuffati dopo qualche settimana e un uomo, che ha confessato il delitto, è stato condannato ma resta il fatto che il processo è stato rinviato venti volte e il giudice si è rifiutato di considerare il motivo della discriminazione sessuale come una aggravante. Pam Ngwabeni, nel suo spettacolo, racconta la storia della sua amica Nkonyana e anche la propria faticosa esperienza di lesbica (la madre l’ha cacciata di casa a 17 anni quando lei ha dichiarato di essere gay, ha vissuto per strada e ha tentato il suicidio).
Continue minacce. Grande emozione aveva destato in Sudafrica l’uccisione, un anno e mezzo fa, di Eudy Simelane – lesbica dichiarata e campionessa di Banyana Banyana, la nazionale di calcio femminile – il cui corpo è stato ritrovato in un crepaccio nel parco di Kwa Thema, alla periferia di Johannesburg: Simelane era stata stuprata da diversi uomini, brutalmente picchiata e colpita con 25 coltellate sulla faccia, sul petto e sulle gambe. “Ogni giorno mi ripetono che mi ammazzeranno, che mi violenteranno, così diventerò una donna normale”, ha raccontato al quotidiano britannico “Guardian” Zakhe Sowello, di Soweto. “E quando succede a qualcuna di noi, il giorno dopo i colpevoli se ne vanno a spasso tranquilli per strada”. “Devono capire qual è il loro posto, devono ridiventare normali, questi stupri servono a fargli capire che cosa significa stare con un uomo, servono a rimetterle sulla retta via”, ha spiegato al giornale un uomo intervistato a Soweto.
La certezza dell’impunità. Contro questa tenace cultura dell’impunità, dopo il brutale duplice stupro e assassinio di una coppia di lesbiche, Sizakele Sigasa e Salome Massooa, nel luglio del 2007, è nata la campagna 07-07-07, che riunisce associazioni per i diritti umani e contro la discriminazione e chiede giustizia per le donne vittime di queste aggressioni. Phumla, una ragazza di Soweto, ha raccontato che qualche anno fa anche a lei un gruppo di uomini ha impartito “la solita lezione” (una violenza carnale) mentre tornava da un allenamento di calcio, e ha riferito che praticamente ogni lesbica della sua zona ha subito aggressioni, intimidazioni e stupri.
La paura di denunciare. Ndumie Funda, della township of Gugulethu, vicino Città del Capo, ha fondato LulekiSizwe, una associazione che prende il nome dalla sua ex compagna Nosizwe Nomsa Bizana e dalla sua amica Luleka Makiwane, stuprate dal branco e poi morte l’una di meningite e l’altra di Aids. L’associazione fornisce sostegno alle lesbiche giovani e giovanissime, le più vulnerabili e indifese, che spesso vengono cacciate dalle famiglie perché gay e si ritrovano sulla strada. “Le ragazze hanno paura di denunciare i loro stupratori – dice Funda – perché i poliziotti non le prendono sul serio, ridono di loro e dicono ‘ve la siete andata a cercare perché scimmiottate i maschi'”. “Mandela ha detto ‘la mia strada è lunga’: lo dico anch’io”, dichiara Funda. “Mi batterò fino a che avrò fiato in corpo”.
http://www.repubblica.it/solidarieta/cooperazione/2010/10/15/news/stupri_correttivi_per_lesbiche-8086384/