Un film della Von Trotta sulla violenza psicologica sulle donne

Von Trotta: quello
che le donne non dicono

Un piccolo bar in mezzo al nulla, sullo sfondo alberi avvolti nella nebbia e pianure intrise di pioggia. Davanti all’ingresso del locale due ragazzini parlano fitto fitto. E’ una tappa della Fuga di Teresa, il film che Margarethe Von Trotta, la regista tedesca di Anni di piombo, sta girando in questi giorni a mezz’ora da Trieste. Una storia dura, di violenza familiare, quella più nascosta e più difficile da combattere, chiusa nella routine perbene di una coppia borghese, lui chirurgo di successo (Alessio Boni), lei depressa al punto da scegliere il suicidio (Stefania Rocca).

Sarà la figlia Teresa, 16 anni, (Nina Torresi) ad alzare il velo sulla tragedia e a scoprire, nel suo viaggio di crescita e conoscenza, che la madre è morta perché il marito le aveva tolto, a poco a poco, il rispetto di se stessa: «Si parla molto della violenza eclatante, che è ogni giorno sulle pagine dei giornali, a me interessava quella psicologica, nascosta nelle case dove sembra che tutto fili liscio, una violenza più sottile, ma non meno dolorosa».

Il tema è di grande attualità, oggi più che mai, colpa, forse, di «un’emancipazione che spaventa gli uomini. Hanno paura di perdere un potere che prima davano per scontato. Si dibattono tra l’eredità del passato che li spinge a difendere la loro posizione di dominio, e la convinzione che la maggiore libertà femminile sia, al contrario, una cosa giusta. Questo scatena tensioni, anche gli uomini più colti e intelligenti non riescono a sciogliere il dilemma». Da sempre sul fronte delle battaglie delle donne, Von Trotta, sguardo vivido e azzurro, lieve ironia, e una gran tenerezza verso i giovani attori che sta dirigendo (accanto a Teresa c’è Miki, interpretato da Alessandro Sperduti), è convinta che la violenza sulle donne non sia effettivamente aumentata: «E’ solo che oggi si sa subito, se ne parla di più». E magari è cresciuta la «brutalità dei modi, come quella dei giovani che aggrediscono per soldi adulti, anziani, genitori».

L’altra faccia della medaglia, il contraltare dell’indipendenza femminile, si vede bene «nella tv di Berlusconi, piena di donne che pensano di far carriera mostrandosi, come dite voi, il più “bone” possibile». Loro non fanno paura, anzi: «Quelle sono le ragazze che gli uomini usano per le pause, quando smettono di pensare. A far paura sono le altre, quelle che la carriera vogliono farla con la testa e non solo con il sedere».

In Germania, dice la regista, qualche segnale in positivo c’è, a iniziare dalla Merkel: «Non la amo troppo, ma è importante che rivesta il suo ruolo. In Europa dei progressi ci sono stati, nei paesi arabi, invece, è successo che si sia andati indietro». Per Alessio Boni, nei panni di un uomo «terribile impenetrabile, impeccabile», l’autonomia del gentil sesso non è una novità: «La mia famiglia si è retta su due colonne, mia nonna Maddalena e mia madre Roberta, sono cresciuto con loro, l’idea di voler segregare una donna mi sembra folle». Un solo timore: «Mi spaventano le donne tutte tailleur, arrivismo e tacchi a spillo, ecco, di donne così è sicuro che non potrei mai innamorarmi».

Claudia Mori, che produce il film con Raifiction, è convinta che parlare in tv di violenza sulle donne sia particolarmente importante: «E’ un tema che dovrebbe stare a cuore a tutti, quasi un’emergenza. Accade sempre più spesso che gli uomini non riescano ad avere un rapporto paritario e sereno con l’altro sesso».
Della serie, che testimonia il nuovo, forte impegno di Raifiction nelle tematiche legate all’attualità (da C’era una volta la città dei matti a Gli ultimi del Paradiso sulle morti bianche), fanno parte altri tre film, uno di Liliana Cavani, gli altri due di Marco Pontecorvo. Andranno in onda su Raiuno nel prossimo autunno. Von Trotta ha già lavorato per la tv tedesca, in Italia è invece la prima volta: «I progetti cinematografici richiedono tempi lunghi, ho accettato di fare tv ripensando a un consiglio di Bergman, una volta mi aveva fatto notare che attraverso il piccolo schermo si raggiunge un grande pubblico». Le differenze riguardano soprattutto i tempi, ma anche quella è una sfida interessante: «Bisogna fare un buon film con meno meno mezzi. E’ come quando si riesce a fare un buon minestrone con pochi ingredienti».

Dall’Italia Von Trotta mancava dal ‘92: «Era l’epoca di “Mani pulite”, c’era l’impressione che tutto sarebbe cambiato. Tornando ho trovato un paese che sta peggio di prima, pieno di contraddizioni, però l’altra sera ho visto il programma di Fazio e Saviano, ho capito che c’è un’altra Italia, deve solo trovare il modo per esprimersi». Dopo La fuga di Teresa, la regista torna al cinema per girare, nel suo Paese, un film sulla filosofa e storica tedesca Anna Arendt: «Rispetto alla condizione femminile sono ottimista, altrimenti dovrei negare tutto quello che ho fatto per diventare quello che sono».

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