«Melania non poteva difendersi»
La procura di Teramo, che ha ereditato l’inchiesta, rende più grave la posizione del caporalmaggiore: ha approfittato di uno stato di debolezza
MILANO – Non solo la crudeltà per aver infierito su Melania con 35 coltellate; non solo la spietatezza per averlo fatto a una persona che lo amava; ma anche la brutalità di aver sfruttato la condizione di debolezza di sua moglie Melania Rea, incapace di difendersi mentre l’assassino si accaniva su di lei. La procura di Teramo non fa sconti a Salvatore Parolisi, il caporalmaggiore dell’esercito accusato di averla uccisa il 18 aprile scorso nella pineta di Ripe di Civitella, sulle colline appenniniche del Teramano. Anzi, i pm Greta Aloisi e Davide Rosati, oltre ad accogliere in pieno la ricostruzione del delitto dei loro colleghi di Ascoli, contestano a Parolisi una nuova aggravante: la minorata difesa. Melania si era abbassata volontariamente i pantaloni sotto le ginocchia, «la vittima era in condizioni di tranquillità, non si sentiva minacciata, né cercava di sfuggire a qualcuno che aveva identificato come un possibile aggressore», scrivono i magistrati. I pantaloni sarebbero così diventati la prigione di Melania, perché non poteva più scappare alla violenza del carnefice.
Lo scontro fra accusa e difesa si fa dunque sempre più aspro. Agli avvocati del caporalmaggiore che preannunciano di avere «almeno dieci assi di briscola da giocare, uno domani, un altro, più potente, in settimana», risponde la procura di Teramo che non arretra di un millimetro, indaga e rincara la dose. Mentre quella di Ascoli replica alla prima mossa della difesa, la foto scattata da un ragazzo il giorno dell’omicidio sul pianoro di Colle San Marco e che secondo i legali proverebbe la presenza di Parolisi in quel posto all’ora del delitto e non nella pineta di Ripe di Civitella, dove Melania è stata uccisa: «Quell’immagine l’abbiamo osservata attentamente e io resto dell’idea che sia impossibile identificare la macchina di Parolisi in quell’ombra scura», ha voluto precisare uno dei pm.
I magistrati marchigiani si sono ormai spogliati dell’inchiesta. Ora indaga Teramo, che ha già chiesto l’arresto di Parolisi con la nuova aggravante. E indagano pure i consulenti del collegio di difesa, alle prese con gli elementi forti dell’indagine e in particolare con prova regina: il dna trovato nella bocca di Melania. Appartiene al marito, particolare che ha indotto i medici legali Adriano Tagliabracci e Sabrina Canestrari a concludere che «è ragionevole affermare che il contatto con il marito sia avvenuto poco prima del decesso». Il che inguaia certamente Parolisi, al punto che i suoi legali hanno messo al lavoro uno dei più quotati genetisti forensi italiani: Emiliano Giardina dell’Università Tor Vergata di Roma. L’esperto ha già espresso un parere: «L’affermazione secondo cui il contatto potrebbe essere avvenuto mezz’ora o un’ora prima del delitto non ha alcun fondamento scientifico. In genetica non si sa ancora quanto tempo debba trascorrere perché spariscono le tracce».
Per lui è invece molto più importante l’analisi del dna «estraneo» trovato sotto l’unghia di Melania: «E’ lì che in genere si trova la firma dell’assassino perché si presuppone che la vittima lotti contro il suo aggressore o che comunque abbia un contatto con lui». Ma Melania, secondo la procura, non ha lottato. Il pm lo esclude: «Quella traccia biologica potrebbe appartenere molto semplicemente a una persona a cui Melania ha stretto la mano».
http://www.corriere.it/cronache/11_agosto_01/melania-non-poteva-difendersi-andrea-pasqualetto_e77769cc-bc03-11e0-9ecf-692ab361efb9.shtml
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