Stupro in caserma
Tar Veneto reintegra il militare
È uno dei carabinieri finiti nello scandalo di Roma. Per un «cavillo» annullata la rimozione
VENEZIA – Il Tar del Veneto ha reintegrato uno dei carabinieri che avrebbe partecipato allo stupro commesso nel 2011 all’interno della caserma del Quadraro, a Roma. Una sentenza che si basa su motivi «formali»: gli avvocati della difesa hanno dimostrato che al militare era stata negata la possibilità di difendersi dalle nuove ricostruzioni dei fatti. Un «cavillo» che ha spinto i giudici veneziani (chiamati ad esprimersi perché, nel frattempo, il carabiniere era stato trasferito in Veneto) ad annullare il provvedimento della «perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari» che gli aveva fatto perdere il lavoro. Il caso fece clamore. Stando alle prime ricostruzioni dell’accusa, il 23 febbraio dello scorso anno una trentenne venne arrestata per furto nella capitale e portata in caserma dove avrebbe dovuto trascorrere alcune ore in attesa del processo per direttissima.
Nella notte, però, venne fatta uscire dalla cella di sicurezza e accompagnata nella sala mensa. «Mi fecero accomodare sopra a delle panche, e mi offrirono un panino», ha raccontato. Interrogata dal gip a luglio, la vittima ha ribadito che i carabinieri la invitarono a bere alcuni bicchieri di liquore, forse con l’intento di farla ubriacare. Poi la violenza. Quella notte erano presenti Alessio Lobartolo, Leonardo Pizzarelli e Vincenzo Cosimo Stano, oltre al vigile urbano Francesco Carrara che era in caserma perché amico di uno dei carabinieri. Inizialmente si ipotizzò che la trentenne fosse stata abusata, a turno, da tutti i presenti. Le analisi delle tracce biologiche rivelarono invece la presenza di un unico Dna, anche se per la procura resta l’accusa di aver soggiogato «un soggetto sottoposto a limitazioni della libertà personale con l’aggravante dell’abuso dei poteri e doveri inerenti a una funzione pubblica e dell’uso di sostanze alcoliche». Alcuni degli indagati si sarebbero difesi sostenendo che la donna era consenziente, anzi, li avrebbe perfino provocati. Tutti vennero sospesi dal servizio, compreso Stano, che nel frattempo era stato trasferito in Veneto.
Contro la rimozione il militare, difeso dagli avvocati Maria Cristina Manni e Francesco Scacchi, ha fatto ricorso al Tar di Venezia: cacciandolo in quel modo – è la tesi – il ministero si sarebbe macchiato di eccesso di potere. Il 29 aprile del 2011 la Disciplinare gli avrebbe contestato di aver «abusato dei suoi poteri e doveri» per compiere «atti sessuali su una donna» «unitamente ad altre persone». Ed è sulla base di queste accuse che Stano avrebbe dovuto difendersi. Peccato che, in seguito, gli arrivò la notizia che era stato rimosso dal servizio perchè «non impediva che una donna (…) venisse fatta uscire dalla cella di sicurezza e tollerava che un altro militare compisse atti sessuali con la stessa ». Accuse diverse.Maper la seconda – è la tesi della difesa – non gli è stata concessa la possibilità di difendersi.
Davanti ai giudici veneti il ministero ha invece evidenziato la correttezza della sanzione «tenuto conto della gravità dei fatti», ricordando che quanto avvenuto in quella drammatica notte ha «irrimediabilmente compromesso il rapporto difuciario che deve intercorrere tra l’Arma dei Carabinieri e i propri operatori. Nonché leso profondamente quei principi di moralità e rettitudine che devono sempre caratterizzare il contegno di un militare ». Insomma, che abbia attivamente partecipato allo stupro della donna o si sia limitato a «non impedire» la violenza, per il ministero non cambia: Stano non deve più indossare la divisa. Ma i giudici del Tar la pensano diversamente: visto che la ricostruzione di quanto avvenuto quella notte è cambiata, al militare è stato negato il diritto a difendersi. «Il tribunale ha ribadito una questione giuridica fondamentale – canta vittoria l’avvocato Manni – e cioè quella che a ciascuno sia sempre garantita la possibilità di difendersi dalle accuse. Se le contestazioni cambiano, è giusto che la persona ne sia informata e possa, se lo ritiene, fornire le proprie giustificazioni ». È andata così. Quell’errore nella procedura rende carta straccia la sanzione. Ora – concede il Tar – se il ministero lo vuole, potrà ripetere il procedimento disciplinare.
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