Melania Rea, le motivazioni del femminicidio

“Un rapporto sessuale negato:
ecco perché Parolisi uccise Melania”

E’ la conclusione del giudice
di Teramo, Maria Tommolini,
nelle motivazioni della sentenza
Non altre donne, ma il rifiuto della moglie a consumare un rapporto sessuale: sarebbe stato questo a scatenare la furia omicida di Salvatore Parolisi, il caporalmaggiore dell’Esercito, giudicato con rito abbreviato e condannato al massimo della pena, con isolamento diurno, per l’omicidio della moglie, Melania Rea, assassinata con 35 coltellate il 18 aprile 2011 sul Colle San Marco di Ascoli Piceno.

È questa la verità che emerge dalle motivazioni della sentenza che ricostruisce gli istanti prima del delitto. Il delitto, secondo il gip di Teramo Marina Tommolini, «è maturato nell’enorme frustrazione vissuta da Salvatore Parolisi nell’ambito di un rapporto divenuto impari per la figura ormai dominante di Melania». Secondo la ricostruzione tracciata nelle motivazioni, i due arrivano nella pineta, la bimba resta a dormire in auto. Melania deve fare pipì, va dietro al chiosco e quel punto, vedendola, Salvatore si avvicina e la bacia. Il caporalmaggiore, secondo i giudici, vorrebbe un rapporto sessuale, ma la moglie lo rifiuta. Rifiuto che avrebbe portato, secondo le motivazioni della sentenza, alla violenta reazione di Salvatore e al delitto.

Il gup nelle motivazioni della sentenza spiega il perché dell’applicazione della pena massima consentita dal giudizio abbreviato e della non applicazione delle attenuanti generiche: per il giudice il caporalmaggiore si è mostrato «subdolo e violento», non ha mostrato nessun ravvedimento, e pesa anche il comportamento tenuto in aula. Era «silente» al punto di negare un semplice buongiorno «a chi entra o esce da un’aula di giustizia», anzi l’unica volta che ha parlato di fatto ha “spacciato” come collaborazione un «ennesimo tentativo di inquinamento probatorio». E persino «l’improvviso attaccamento alla figlia desta più di un sospetto di autenticità». Scrive infatti il giudice che innanzi tutto il codice penale nella vigente formulazione «non connota l’incensuratezza come condizione sufficiente per la concessione delle attenuanti generiche e il Parolisi non sembra abbia mostrato alcun segno di resipiscenza anzi. Nel corso del processo ha assistito in disparte e silente ( anche sotto il profilo dei normali saluti, quali un “buongiorno” o un “buonasera” che normalmente si pronunciano a chi entra o esce da un’aula di giustizia) ed è intervenuto in un’unica occasione, quando stante l’esigenza manifestante dal giudicante di acquisire i sui orologi, ha indicato quello rimasto nell’abitazione della suocera, scoprendosi che da detta abitazione l’orologio in questione non è mai stato postato, e, di conseguenza, non poteva essere indossato al polso il giorno del delitto». «Ennesimo tentativo – prosegue il gup – di inquinamento probatorio, “spacciato”, invece, come collaborazione di chi sa di non dover nascondere nulla». E «anche l’improvviso attaccamento alla figlia desta più di un sospetto di autenticità».

Il giudice cita il verbale in cui la madre di Melania, nonna della piccola Vittoria che all’epoca aveva un anno e mezzo, dove la donna sottolinea che nella notte tra il 18 e il 19 aprile 2011, quando Melania era già scomparsa, «la bambina piangeva in continuazione ma il padre non era mai intervenuto per calmarla». «Evidentemente – scrive il gup nelle motivazioni – nel ruolo che il prevenuto sta recitando, la piccola ( che potrebbe peraltro aver assistito a tutto o a parte dell’omicidio, per cui è l’unico potenziale teste oculare) gli è utile per fornire l’immagine del padre premuroso (pur essendo rimasto assente, per non ben spiegate ragioni, persino quando è nata)». E ancora «Parolisi ha mostrato un lato della propria personalità particolarmente violento e subdolo, per cui si reputa necessaria, oltre all’applicazione delle pene accessorie anche la libertà vigilata, per un periodo che stimasi congruo determinare in anni due stante la pericolosità sociale che nel caso in esame, tenuto conto delle modalità dell’azione criminosa, appare sussistere».

http://www.lastampa.it/2013/01/03/italia/cronache/un-rapporto-sessuale-negato-ecco-perche-parolisi-uccise-melania-a2qrj2rDyfE4JmDYrtDJlJ/pagina.html

FEMMINICIDIO. Gup, Parolisi uccise Melania per un rappporto sessuale negato
Lo scrive la giudice di Teramo, Marina Tommolini, nelle motivazioni della sentenza che il 26 ottobre scorso ha condannato l’ex caporalmaggiore dell’esercito all’ergastolo.
redazione
giovedì 3 gennaio 2013 15:27
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Roma, 3 gen – Salvatore Parolisi uccise la moglie Melania Rea perché lei rifiutò di avere un rapporto sessuale e il caporalmaggiore dell’esercito “ha reagito all’ennesima umiliazione, sferrando i primi colpi”: lo scrive la gup (giudice per l’udienza preliminare) di Teramo, Marina Tommolini, nelle motivazioni della sentenza, che il 26 ottobre scorso lo ha condannato all’ergastolo. Le motivazioni, 70 pagine, sono state depositate ieri.

Per la gup, il 18 aprile 2011, la coppia era con la figlia a Ripe di Civitella, dove due giorni dopo la scomparsa, venne ritrovato il cadavere di Melania. Nelle motivazioni è ricostruito il momento dell’omicidio: “La donna, dovendo urinare, è andata dietro al chiosco dove il marito, vedendola seminuda, verosimilmente si è eccitato, avvicinandola e baciandola per avere un rapporto sessuale. Melania – scrive la gup – sia per il problema dell’ernia, sia per le condizioni (la bimba in auto che – forse – dormiva e la possibilità che qualcuno sopraggiungesse) ha rifiutato e in quel contesto, deve aver rivolto anche rimproveri pesanti contro il coniuge che, a quel punto, ha reagito all’ennesima umiliazione, sferrando i primi colpi”. Secondo la giudice questa la riscotruzione del delitto.

Tommolini prosegue: “La vittima ha tentato di allontanarsi perdendo il cellulare che aveva verosimilmente nella tasca del giacchino ma con la difficoltà dell’avere ancora i pantaloni abbassati. E’ andata verso un albero e, quindi in prossimità del camminamento posto sul lato Est, dove erano presenti degli oggetti che avrebbe potuto prendere per difendersi. A quel punto deve essere caduta in ginocchio e con le braccia divaricate, si è appoggiata sulle tavole – e le impronte definite come ‘orme’ di scarpa degli inquirenti potrebbero invece, corrispondere a parte delle mani insanguinate – forse subendo altri colpi al collo in tale frangente, con il marito alle spalle, e reclinando di conseguenza il viso, per cui il sangue delle ferite è defluito dal basso verso l’alto”. Infine Melania “rialzatasi, ha fatto pochi passi all’indietro e si è accasciata al suolo, dove il coniuge ha inflitto ulteriori coltellate al petto”. “Il tutto – scrive infine la giudice – si è svolto in pochi minuti: 10 massimo 15, stante la minorata difesa in cui si trovava la vittima, impossibilitata a correre e scappare, e subito dopo l’arrivo al chiosco”.

La gup di Teramo nelle motivazioni spiega anche il perché dell’applicazione della pena massima consentita dal giudizio abbreviato e della non applicazione delle attenuanti generiche: per la giudice il caporalmaggiore si è mostrato “subdolo e violento”, non ha mostrato nessun ravvedimento, e pesa anche il comportamento tenuto in aula. Era “silente” al punto di negare un semplice buongiorno “a chi entra o esce da un’aula di giustizia”, anzi l’unica volta che ha parlato di fatto ha “spacciato” come collaborazione un “ennesimo tentativo di inquinamento probatorio”. E persino “l’improvviso attaccamento alla figlia desta più di un sospetto di autenticità”. Scrive infatti la gup che innanzitutto il codice penale nella vigente formulazione “non connota l’incensuratezza come condizione sufficiente per la concessione delle attenuanti generiche e il Parolisi non sembra abbia mostrato alcun segno di resipiscenza, anzi”.

“Nel tentativo di allontanare i sospetti” Parolisi “ha fornito, con proprie dichiarazioni e interviste televisive, una mole di menzogne che, inconsapevolmente, hanno costituito una sorta di confessione”, ha spiegato ancora Marina Tommolini. “Una mole di menzogne, cosi’ come era solito fare nella propria vita quotidiana – scrive la magistrata – che ha offerto alla giudicante una chiave di lettura che ha consentito di ricostruire la dinamica dell’accaduto, il movente e l’effettiva personalita’ di un uomo che ha vissuto e vive una propria realta’, che prende spunto dal vero, lo rielabora e, quindi, lo eleva a verita’ tanto da essersi gia’ assolto dai terribili delitti commessi”.

http://giulia.globalist.it/Detail_News_Display?ID=46079&typeb=0&FEMMINICIDIO-Gup-Parolisi-uccise-Melania-per-un-rappporto-sessuale-negato

Parolisi uccise per rapporto sessuale negato
Depositate le motivazioni della sentenza di primo grado

Un rapporto sessuale negato avrebbe scatenato la furia di Salvatore Parolisi, il caporal maggiore dell’Esercito condannato in primo grado all’ergastolo per avere ucciso a coltellate, il 18 aprile 2011, la moglie Melania Rea, nella pineta di Ripe di Civitella (Teramo): è questa la conclusione alla quale è arrivato il giudice di Teramo, Maria Tommolini, nelle motivazioni della sentenza.

Secondo il giudice si è trattato di un delitto d’impeto che non avrebbe nulla a che vedere con le relazioni extraconiugali di Parolisi, maturato a causa della frustrazione vissuta dall’uomo nei confronti di Melania, “figura dominante” della coppia. Nella ricostruzione fornita dal magistrato l’omicidio si sarebbe consumato in pochi momenti, quando Melania si è spostata dietro al chiosco della pineta per fare pipì: la vista della moglie seminuda – sempre secondo il giudice – avrebbe verosimilmente eccitato Parolisi che si è avvicinato e ha baciato la donna, per avere un rapporto sessuale. Melania però avrebbe rifiutato l’avance, forse rimproverando il marito, che a quel punto ha reagito all’ennesima umiliazione, sferrando i colpi con il coltello a serramanico che aveva in tasca.

Nella sentenza di condanna a Parolisi, il Gup Tommolini parla anche del rapporto tra il caporal maggiore e la soldatessa Ludovica Perrone e pur escludendo implicazioni dirette sul’omicidio, afferma che la relazione tra i due era ancora in atto. Per dimostrare probabilmente che Salvatore ha detto troppe bugie anche sul rapporto tra i due agli inquirenti, cita le telefonate intercorse tra i due: dal 2 settembre 2009, data presumibile dell’inizio del rapporto, al 27 aprile 2011 Salvatore e Ludovica si sono scambiate 5395 chiamate e 4012 sms. Il che significa che nei 603 giorni del loro rapporto tra i due c’é stata una media di 8,9 telefonate al giorno e 6,6 messaggi tale da spingere il giudice ad affermare che “vi era da circa due anni una stabile relazione sentimentale ancora in corso”.

“Nel tentativo di allontanare i sospetti”, Parolisi “ha fornito, con proprie dichiarazioni e interviste televisive, una mole di menzogne che, inconsapevolmente, hanno costituito una sorta di confessione”. E’ quanto sostiene il Gup nelle sue motivazioni. “Una mole di menzogne (così come era solito fare nella propria vita quotidiana) – scrive il magistrato – che ha offerto al giudicante una chiave di lettura che ha consentito di ricostruire la dinamica dell’accaduto, il movente e l’effettiva personalità di un uomo che ha vissuto e vive una propria realtà, che prende spunto dal vero, lo rielabora e, quindi, lo eleva a verità tanto da essersi già assolto dai terribili delitti commessi”.

http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/cronaca/2013/01/03/Parolisi-uccise-rapporto-sessuale-negato-_8021633.html

LE MOTIVAZIONI DELLA SENTENZA DI PRIMO GRADO
«Uccise Melania Rea perché gli disse no»
Ergastolo a Parolisi. I giudici: «È stato un delitto d’impeto»

Melania Rea, uccisa il 18 aprile del 2011 a Ripe di Civella, Teramo
TERAMO – Lui si sarebbe avvicinato per fare sesso e la moglie lo avrebbe rifiutato, scatenando la furia omicida del marito. Un delitto d’impeto, maturato nell’ambito di un rapporto divenuto «impari» a causa della figura dominante di lei e dell’enorme frustrazione provata dal marito. Queste, in sintesi, le motivazioni della sentenza con cui il Gup del tribunale di Teramo, Marina Tommolini, ha condannato all’ergastolo il caporalmaggiore Salvatore Parolisi per l’omicidio di Melania Rea, uccisa con 35 coltellate il 18 aprile 2011 in un boschetto a Ripe di Civitella (Teramo).
IMPETO- E proprio il boschetto sarebbe stato il teatro del raptus, dunque di un gesto assai poco calcolato, che avrebbe spinto Parolisi ad uccidere. Non sarebbero stati né i presunti segreti in caserma né altre donne, insomma, le cause scatenanti del delitto, come sostiene la Procura parlando di una persona finita nel vicolo cieco delle promesse all’amante e delle bugie alla moglie, ma la rabbia di un rapporto sessuale negato e, probabilmente, le offese e gli insulti che Melania avrebbe rivolto al marito quando si trovavano a Ripe.

Mi piace questo contenutoNon mi piace questo contenuto9219Link:LA RICOSTRUZIONE – La mattina del 18 aprile di due anni fa, la famiglia sarebbe effettivamente andata a Colle San Marco ma, successivamente, si sarebbe spostata a Ripe. E questo sarebbe accaduto perché «Melania, non gradendo la scarsa igiene delle altalene dei piccoli e trovando il gioco sull’altalena dei grandi pericoloso per la figlia, ha proposto di lasciare il pianoro e di andare al chiosco della pineta». Qui, secondo la ricostruzione del giudice, sarebbero arrivati intorno alle 15 e l’omicidio si sarebbe consumato in pochi attimi. Melania e Salvatore sarebbero scesi dall’auto e avrebbero fatto qualche passo all’interno della pineta. Melania avrebbe cercato un angolo appartato per fare pipì e si sarebbe spostata dietro il chiosco. La vista della moglie seminuda, a poca distanza, avrebbe eccitato il caporalmaggiore, il quale si sarebbe avvicinato e l’avrebbe baciata. Melania però avrebbe rifiutato l’approccio e forse avrebbe anche rimproverato il marito.
L’UMILIAZIONE – Per Salvatore, «l’ennesima umiliazione». E la sua reazione sarebbe stata violentissima. Avrebbe colpita Melania con il coltello a serramanico che aveva in tasca. Lei avrebbe cercato di difendersi ma, trovandosi con i pantaloni ancora abbassati, sarebbe caduta a terra. A questo punto, Salvatore avrebbe infierito con altre violente coltellate.

APPROCCIO SESSUALE – Il movente sessuale torna nelle motivazioni della sentenza quando lo stesso Parolisi – a un mese dal delitto – confida al cugino del padre di Melania, Gennaro, di avere tentato a casa, la mattina stessa dell’omicidio, un approccio sessuale con la moglie che si era invece negata. «D’altra parte – scrive il giudice Marina Tommolini nelle motivazioni – le esigenze sessuali del prevenuto (Parolisi, ndr) dovevano essere piuttosto impellenti, a causa di una “piaghetta” prima (seguita da un piccolo intervento il 12 gennaio 2011) e della sopraggiunta ernia poi». Di certo, continua il giudice, «i rapporti sessuali con Melania se non del tutto interrotti, si erano, quantomeno diradati, mentre l’ultimo rapporto sessuale con la Perrone vi era stato nel gennaio 2011».

IL PROBLEMA LUDOVICA – Alcune intercettazioni rivelano il «problema», dopo la morte di Melania era diventato Ludovica. Ad esempio – cita il gup – in un’intercettazione del 7 maggio 2011 nell’abitacolo dell’auto, Parolisi, da solo, riferendosi a Ludovica «che non ubbidisce alle sue richieste», dice: «Questa è proprio scema, dai questa mongoloide, guarda è veramente scema… Io gli dico lascia stare e questa mi rompe il c…». Aggiungendo, «dopo un lungo e ripetitivo sproloquio»: «Questa ragazza … mi deve fare casini…»

5152 TELEFONATE e 1475 SMS – Il rapporto con l’amante, Ludovica Perrone, passa in secondo piano ma rimane una costante che ha fornito ai giudici elementi sul carattere e la personalità di Salvatore Parolisi. La relazione con Ludovica non può essere il movente dell’omicidio. E i giudici lo raccontano nella sentenza dimostrando che Salvatore non la amava. Nelle motivazioni della sentenza che condanna Parolisi all’ergastolo sono riportata i dati della loro relazione: «Dialoghi – spesso a sfondo sessuale – on line, un traffico telefonico tra il 2.09.2009 ed il 27.04.2011 di ben 5152 telefonate e 1475 sms» da Parolisi a Ludovica, e «243 telefonate e 2537 sms» da Ludovica a Parolisi. Nonostante il traffico telefonico, secondo il gup Marina Tommolini, il caporalmaggiore «certamente non l’amava» e «non avrebbe mai lasciato Melania (anche per questioni economiche». La relazione extraconiugale, però, «avrebbe potuto costituire, agli occhi degli inquirenti, un possibile movente», per questo Parolisi cerca in tutti i modi di «eliminare tutto ciò che dimostrava la duratura relazione».

DEPISTAGGIO – Un’altra intercettazione significativa è citata dal Gup. È del 9 maggio 2011, Parolisi parla al telefono con Ludovica, lei gli dice: «Tu ti vuoi togliere a te dai guai non a me dai guai». Lui risponde: «No, no, non mi tolgo io dai guai non c’è nessun guaio da togliermi, hai capito? Perchè io non ho toccato nien… – si interrompe e corregge – cioè io non ho fatto niente di quello che mi si vuole accusare, capisci?». Ludovica voleva stringere ma Parolisi non aveva intenzione di lasciare Melania. I magistrati confermano che «nell’ultimo periodo, stava stringendo i tempi al fine di sollecitare pressantemente ed in maniera costante il Parolisi ad abbandonare il proprio nucleo familiare per ufficializzare e concretizzare la loro storia d’amore». Ma è ancora scritto nel testo «la mattina del 19 aprile 2011 (dopo la scomparsa di Melania e poco prima del rinvenimento del cadavere), a ciò aggiungendosi le telefonate tra i due poi intercettate (e nelle quali il Parolisi, sentendosi braccato dagli inquirenti, chiede a Ludovica di riferirgli cosa ha detto alla polizia giudiziaria, la invita a cancellare tutto ciò che esiste nel p.c. e a non parlare né al telefono né in macchina, ribadendole la necessità di dover sostenere la tesi dell’averla usata senza alcun intento di lasciare la moglie».

LE BUGIE – Secondo il magistrato, sono state le stesse bugie dette dal caporal maggiore ad incastrarlo. Cercando di allontanare da sé i sospetti, Salvatore avrebbe fornito una serie di menzogne «che, inconsapevolmente, se valutate unitamente a tutti gli altri elementi raccolti, hanno costituito una sorta di confessione». Per ora né i legali del caporal maggiore, Valter Biscotti e Nicodemo Gentile (che questa mattina era in tribunale a Teramo per richiedere copia della sentenza) né l’avvocato della famiglia Rea, Mauro Gionni, rilasciano dichiarazioni riservandosi di leggere con attenzione le motivazioni della sentenza. Per Salvatore Parolisi, attualmente rinchiuso nel carcere di Castrogno, l’unica strada è l’appello. A confermarlo è lo stesso avvocato Biscotti. «Il ricorso, di fronte a questa sentenza, è ovviamente scontato».

http://www.corriere.it/cronache/13_gennaio_03/parolisi-sesso-rifiuto_ec3a5fa6-559e-11e2-8f89-e98d49fa0bf1.shtml

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