Ragazza manganellata, agente condannato a 1 anno e 4 mesi per lesioni gravissime
Pasquale Bonifiglio, del VII reparto mobile, il 12 dicembre 2011 aveva rotto quattro denti alla 23enne Martina Fabbri durante una manifestazione di Indignados. La pena è stata comunque sospesa. Il poliziotto costretto a pagare anche 5mila euro di spese processuali e 20mila di spese dentistiche
Condannato a 1 anno e 4 mesi per lesioni gravissime con pena sospesa, al pagamento di 5mila euro di spese processuali e a una provvisionale di 20mila euro per spese dentistiche. Questo è quanto ha deciso il gip di Bologna Letizio Magliaro per il poliziotto Pasquale Bonifiglio, accusato di aver rotto con una manganellata il 12 ottobre 2011 quattro denti all’allora ventitreenne Martina Fabbri durante una manifestazione davanti alla Banca d’Italia per protestare contro tagli e austerità.
La sentenza è arrivata venerdì dopo che era stata formalizzata la richiesta di rito abbreviato per l’agente, oggi non più in servizio al settimo reparto mobile di Bologna, ma assegnato all’ufficio di gabinetto della questura. Il giudice, raccolta la richiesta, si è ritirato e dopo circa un’ora e mezza si è pronunciato. “Con questa sentenza”, ha commentato a caldo Martina Fabbri, “si è aperto un dibattito, significa che qualcosa si sta muovendo. Con questo risultato tuttavia non si fermeranno le nostre richieste nei confronti della polizia: numero identificativo sulla divisa o sul casco e introduzione del reato di tortura”. Dal canto suo, l’avvocato Simone Sabattini, che assiste la ragazza, ha aggiunto: “La sentenza è positiva. Chi ci avrebbe creduto all’inizio? Il merito del risultato di oggi va al pm e al perito di parte”.
#OccupyTribunale: i manifestanti in attesa della decisione. La mattina si è aperta con un presidio dei centri sociali giunti fin da Rimini e riuniti per l’occasione nel movimento #OccupyTribunale (erano presenti anche il consigliere comunale di Sel Lorenzo Cipriani e Roberto Sconciaforni, consigliere regionale di Rifondazione). Giunti davanti all’edificio di via Farini 1, sono entrati e si sono disposti nel cortile interno srotolando uno striscione su cui c’era scritto: “Il sorriso della libertà contro la violenza dell’omertà e del settimo reparto”. Di lì, avevano dichiarato, non si sarebbero mossi fino a quando non si fosse conclusa l’udienza iniziata intorno alle 9.45. Poi si è aggiunto un secondo striscione dei Carc in cui si chiedeva di “sciogliere il settimo reparto mobile”.
La musica delle casse alimentate da un generatore ha poi fatto scendere un paio di volte il presidente del tribunale, Francesco Scutellari, che aveva chiesto fosse spenta per non disturbare i lavoro dei vari uffici giudiziari riuniti in via Farini e che fosse consentito l’accesso agli operatori e agli avvocati. “Abbiamo chiesto che il rumore fosse ridotto”, ha commentato il magistrato, “nel rispetto dei diritti di tutti e senza forzare la mano”. Al pronunciamento della sentenza, comunque, i manifestanti hanno smobilitato il presidio creando un corteo spontaneo che attraverso via D’Azeglio è andato verso piazza Maggiore.
La vicenda: la manganellata davanti alla Banca d’Italia. La storia che ha portato al pronunciamento contro l’agente del reparto mobile è iniziata il 12 ottobre 2011. Quel giorno, infatti, lì si erano dati appuntamento decine di giovani e di lavoratori per riconsegnare simbolicamente la lettera che l’estate precedente il governatore italiano Mario Draghi e il presidente della Banca Centrale Europea Jean-Claude Trichet avevano inviato al governo Berlusconi per chiedere tagli e piani di austerità che si sarebbero ripercossi sullo stato sociale.
Quella mattina la situazione si era fatta via via più tesa fino alla partenza di una prima carica. In mezzo c’era anche Pasquale Bonofiglio che, rendendo dichiarazioni spontanee al giudice Magliaro, ha raccontato di essere caduto e di aver rotto lo scudo d’ordinanza. Quindi si era rialzato, ne aveva recuperato un secondo ed era presente alla seconda carica. Nega però di essere stato l’agente che ha brandito il manganello davanti a Martina Fabbri facendoglielo rovinare sulla bocca e rompendole i quattro denti.
La procura di Bologna, dopo i fatti, aveva aperto un fascicolo per lesioni gravissime cercando di identificare il poliziotto che aveva colpito la ragazza. Sia da parte dell’avvocato Sabbatini che dal pubblico ministero Morena Plazzi era stata lamentata la scarsa collaborazione di Digos e di polizia più in generale. Alcuni agenti ancora oggi, in udienza, hanno confermato la presenza di Bonofiglio davanti alla Banca d’Italia pur non potendo confermare che ad agire sia stato proprio lui. Nel frattempo il centro sociale Tpo e la stessa giovane ferita hanno dato vita a una propria indagine portando i procura elementi utili all’inchiesta.
Tornando ai fatti di fine 2011, Martina si era presa qualche giorno per presentare un esposto per le ferite subite e nell’immediatezza dei fatti aveva dichiarato che “i soccorsi sono arrivati subito, ma non volevano portarmi in ospedale senza che un agente salisse con me. Io li ho pregati, non lo volevo in ambulanza”. Poi la denuncia era stata inoltrata all’autorità giudiziaria perché “dietro a questo gesto c’è una responsabilità personale”.
La studentessa la sua battaglia l’ha portata avanti anche per altre ragioni. Lanciando un appello nei giorni precedenti all’udienza che ha condotto alla condanna dell’agente, aveva detto che “si chiuderà una vicenda che, in qualche modo, riguarda anche i 40 fra attivisti e attiviste che hanno ricevuto l’avviso di fine indagine per la giornata di mobilitazione del 12 ottobre. Rischiano condanne per aver manifestato con determinazione contro l’austerità e i tagli imposti dalle banche e dai governi”. Senza dimenticare rivendicazioni più ampie, come appunto la riconoscibilità degli agenti, a cui vietare anche il ricorso di fazzoletti sul volto e occhiali da sole in servizio di ordine pubblico e l’introduzione del reato di tortura.
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